Il tv movie, Chiara Lubich, è anche un libro
Nei prossimi giorni in libreria il libro ispirato al TV movie «Chiara Lubich, l’amore vince tutto» andato in onda ieri su Rai 1. La nascita del movimento dei Focolari a Trento durante la Seconda guerra mondiale. L’intervista ad Andrea Gagliarducci, autore del libro e a Saverio d’Ercole, produttore creativo del tv movie.
Nel libro ripercorri i primi anni della nascita dei Focolari. Conoscevi già Chiara Lubich e il Movimento. Cosa ha significato per te raccontarne gli inizi? Chi è Chiara Lubich per te oggi?
Andrea Gagliarducci: Quello che ho cercato di fare è stato guardare gli inizi del Movimento. Guardare Chiara Lubich muoversi, perché raccontare gli inizi di qualcosa è sempre un po’ misterioso. Ci si trova di fronte ad un miracolo, e ci sono molti motivi per cui questo miracolo avviene, ma davvero è quasi impossibile comprendere cosa faccia iniziare questo miracolo. Io ho cercato di vedere la scintilla che fatto partire il fuoco, ed è stato soprattutto questo che ha dato un senso al mio lavoro. Conoscevo il movimento. Avevo letto le storie. Avevo molto materiale razionale da cui partire. Ma non mi ero mai immedesimato davvero. E posso dire – rispondendo alla tua seconda domanda – che Chiara Lubich è diventata qualcosa di diverso per me. Prima, era una persona da ammirare, da studiare, viva in molte persone, ma certamente non in me. Cercando quella scintilla, molto del suo carisma originario mi è in qualche modo entrato dentro. Lo ho potuto vivere, lo ho potuto sentire. Probabilmente, prima io e Chiara Lubich eravamo semplici conoscenti. Ora siamo almeno amici.
Da produttore creativo hai seguito tutte le tappe della produzione del TV movie. Il rischio, come per tutti i film che raccontano storie di consacrazione a Dio e la nascita di nuove strade nella storia della Chiesa, è di fare dell’“agiografia”. Invece il film ha saputo restituirci il ritratto di una Chiara Lubich umana. Un tuo commento a riguardo.
Saverio D’Ercole: Sin dall’inizio il desiderio era di far raccontare Chiara a chi non la conosceva (o la conosceva solo in modo “generico”). Così quando la Rai, grazie all’allora direttrice di RaiFiction Tinny Andreatta, al Direttore Governance Nicola Claudio e al capostruttura Fabrizio Zappi, ci hanno detto che erano interessati a leggere un Soggetto, ci siamo rivolti a Giacomo Campiotti, Luisa Cotta Ramosino e Lea Tafuri (a loro si è aggiunto successivamente Francesco Arlanch). Abbiamo avuto tante riunioni per capire cosa potevamo raccontare in un singolo film. La storia di Chiara infatti attraversa diversi decenni. Ci era chiaro che non avremmo potuto raccontarla tutta. Siamo arrivati progressivamente a capire che il periodo più fertile era quello degli inizi. Quello della seconda guerra mondiale.
Nella scrittura prima e nelle riprese poi, si è cercato di evitare l’agiografia. Chiara è raccontata in modo asciutto, nella sua determinazione ma anche nelle sue fragilità. L’esperienza nascente del focolare tiene conto, nella messa in scena, delle accuse che verranno poi mosse alle prime focolarine. C’è anche una scena in cui Chiara rimprovera una delle sue prime compagne. Quello che credo emerga è l’esperienza di ragazze normali che hanno il solo merito di essere radicali nelle loro scelte.
Naturalmente stiamo parlando di un film e non di un documentario. Quindi abbiamo romanzato dei passaggi. La figura di una delle sue prime compagne che poi lascia il focolare (interpretata da Aurora Rufino), è ispirata ad una vicenda vera, mentre il fatto che fosse la figlia del gerarca fascista (interpretato da Roberto Citran) è invece un’invenzione.
Abbiamo cercato di rispettare tutte le tappe fondamentali del percorso di Chiara. Ma anche di costruire una trama che fosse fedele ai contenuti. Ad esempio, per raccontare il “tutto crolla”, abbiamo dovuto inventare delle scene, sebbene ispirandoci a episodi reali.
Chiara Lubich è interpretata da un’attrice e da un regista che non appartengono al Movimento dei Focolari. Quale aspetto della personalità, secondo te, hanno saputo mettere in luce di Chiara Lubich? Attraverso il loro lavoro artistico e il loro sguardo umano, quale Chiara hanno saputo “disegnare”?
Saverio D’Ercole: Sì, la Chiara che emerge dal film è figlia del lavoro degli autori, ma in particolare dell’incontro artistico fra il talento di Giacomo Campiotti e quello di Cristiana Capotondi. Entrambi si sono documentati tantissimo, andando a leggere gli scritti di Chiara. Andando a vedere le immagini che circolano in rete o anche quelle messe a disposizione del Centro “Chiara Lubich”. Ne viene fuori una Chiara, dolce ma anche decisa. Appassionata, coraggiosa, ed in qualche modo “rivoluzionaria”. Si perché se contestualizziamo il periodo, si apprezza ancora di più la personalità di questa ragazza che in una società in cui la donna era relegata ad un ruolo marginale ed in cui la Chiesa preconciliare guardava con diffidenza a ciò che non rientrava nel solco millenario della tradizione, questa giovane donna con la sola forza dell’Amore ha scompaginato le convinzioni dei benpensanti e costretto l’istituzione ecclesiastica a ripensare alcune certezze (diverse delle quali verranno poi “sdoganate” nel Concilio Vaticano II). Ma non è solo la storia di Chiara. E’ la storia di un gruppetto di ragazze (lasciatemi citare Aurora Rufino, Valentina Ghelfi, Miriam Cappa, Sofia Panizzi e Greta Ferro) che forti dei loro vent’anni mettono a fuoco il sogno della fratellanza universale e vogliono realizzarlo. E i frutti sono sotto gli occhi di tutti…
È infine anche la storia di un fratello e una sorella. Gino (interpretato da Eugenio Franceschini) reagisce alla guerra decidendo che per aspirare ad un mondo migliore si dovesse passare attraverso la lotta e diventa partigiano. Sarà però capace di comprendere, grazie a sua sorella Chiara, che non c’è futuro per l’umanità senza perdono.