Perché pubblicare i classici
Perché leggere i classici
In uno dei saggi della raccolta – assurta lei stessa ormai al rango di “classico” – intitolata: Perché leggere i classici?, Italo Calvino tra l’altro scrive: “è classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno”. Giocando con il titolo di Calvino, potremmo chiederci provocatoriamente: perché pubblicare i classici? ha senso, oggi, editare opere di mille, di duemila anni fa, magari addirittura opere di letteratura cristiana? A cosa serve, se è praticamente certo – non fosse altro che per ragioni storiche – che tra quei classici non troveremo manuali di istruzione per districarsi nella selva dei social network, oppure saggi economici per affrontare gli effetti di una pandemia, oppure ancora suggerimenti di pronto soccorso psicologico per cuori infranti o per genitori disperati alle prese con adolescenti improvvisamente imbizzarriti?
I classici ieri e oggi
Senza entrare nel merito dei dibattiti – spesso furibondi, e spesso altrettanto poco interessanti– su cosa sia “utile” e/o “bello e/o “vero”, o sul “valore” (letterario, di uso, di scambio…) di un’opera, il sentire comune può concordare forse su un punto: i classici sono scritti immortali, perché possiedono il potere speciale di sospendere il tempo e di essere comunque pienamente nel tempo, che siano di duemila anni fa o dell’altro ieri. Cambiano ovviamente le forme esteriori: ieri un Padre della Chiesa come Cipriano, come Gregorio Nazianzeno, denunciava la degenerazione della cultura del tempo che si manifestavano nel teatro o nel circo, con le loro forme di crudeltà e violenze e di disprezzo dell’uomo, mentre oggi lo stesso può avvenire sui social network e tramite i mezzi di comunicazione di massa; la forza e l’incisività del messaggio di speranza degli autori rimangono però immutate nella loro originalità e nel loro coraggio spesso sfacciato, incurante dei possibili rischi, politicamente scorrette, diremmo oggi. Oppure, leggendo sant’Agostino, potremmo scoprire pagine di grande bellezza e profondità sull’amore tra uomo e donna, e pagine introspettive di rara finezza psicologica… Oppure ancora, leggendo dei dubbi di fede e delle tentazioni vissute da mistici e mistiche di ogni tempo, potremmo riconoscere gli stessi segni dei nostri dubbi più profondi… e scoprire, in sostanza, che al centro di tutto c’è sempre l’essere umano, con le sue fragilità e la sua immensa forza, calato nel tempo che gli è dato di vivere.
Pubblicare i classici
Pubblicare i classici è dunque un’operazione umile e insieme ambiziosa: un atto d’amore, un tributo agli autori e alle opere che possono entrare in punta di piedi nella geografia dell’anima del lettore, sul suo comodino e nello scaffale della sua libreria e, perché no, sostenerlo in un percorso di ricerca spirituale, nella compagnia a volte rassicurante, a volte spiazzante e scomoda, di sorelle e fratelli maggiori che hanno percorso quel cammino di ricerca prima di noi, e che di quel cammino hanno lasciato un segno. Perché, per dirla ancora con Calvino, “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire”.